Conti falsati e risultati giusti
da “Momo” di Michael Ende, ed. SEI
Esiste un grande eppur quotidiano mistero. Tutti gli uomini ne partecipano ma pochissimi si fermano a rifletterci. Quasi tutti si limitano a prenderlo come viene e non se ne meravigliano affatto. Questo mistero è il Tempo.
Esistono i calendari e orologi per misurarlo, misure di ben poco significato, perché tutti sappiamo che, talvolta, un'unica ora ci può sembrare un'eternità, e un'altra invece passa in un attimo... dipende da quel che viviamo in quest'ora.
Perché il tempo è vita. E la vita dimora nel cuore.
E nessuno lo sapeva meglio dei Signori Grigi. Nessuno sapeva — come loro — apprezzare tanto bene il valore di un'ora, di un minuto, di un solo secondo di vita. Certo, lo apprezzavano a modo loro — così come le sanguisughe apprezzano il sangue — e, a modo loro, agivano in conformità.
Avevano piani precisi circa il tempo degli uomini. Erano piani a lunghissima, secolare scadenza, e minuziosamente preparati. La cura più importante era che nessuno prestasse attenzione alla loro attività. Si erano stabiliti fra gli abitanti della grande città senza dare nell'occhio. E gradatamente, poco alla volta, senza che alcuno se ne rendesse conto, avanzavano ogni giorno più a fondo e prendevano possesso degli uomini.
Conoscevano bene la persona idonea ai loro scopi assai prima che il designato stesso lo potesse intuire. Aspettavano soltanto il momento buono per poterlo agguantare e facevano del loro meglio perché tale momento giungesse al più presto.
Per esempio prendiamo il signor Fusi, barbiere. Certo, non un figaro di classe, però molto apprezzato nella sua strada. Non era né povero né ricco. Nella sua piccola bottega, situata al centro della città, c'era lavoro anche per un garzone apprendista.
Un giorno il signor Fusi stava sulla porta della sua barbierìa in attesa della clientela abituale. Era il giorno di libertà del garzone e il signor Fusi era solo. Guardava la pioggia scrosciare sulla strada; era un giorno plumbeo' e l'animo del signor Fusi era turbato come il tempo.
«La mia vita se ne va col ticchettìo delle forbici, con chiacchiere e schiuma di sapone », pensava. « Che ne è della mia esistenza? Quando sarò morto sarà come se non fossi mai vissuto ».
Non bisogna credere che il signor Fusi fosse nemico delle chiacchiere. Al contrario, gli piaceva assai esporre ai clienti — e ampiamente — le proprie opinioni e ascoltare quel che loro ne pensavano. E neanche gli davano fastidio il ticchettìo delle forbici o la schiuma di sapone. Faceva il suo lavoro con piacere e sapeva di farlo bene. La sua abilità nel radere contropelo sotto il mento era insuperabile. Ma ci sono momenti in cui niente ha importanza. Succede a tutti.
«Tutta la mia vita è stato uno sbaglio! » pensava il signor Fusi. « Chi sono mai, io? Un poveraccio di barbiere, ecco quello che sono! Se potessi vivere una vera vita sarei un uomo del tutto diverso! ».
Quale fosse questa vera vita, il signor Fusi non ne aveva la minima idea. Pensava vagamente a qualcosa di importante, sfarzoso, come si vede sulle riviste illustrate.
«Ma per queste cose il mio lavoro non mi lascia tempo» continuava a pensare pieno di pessimismo. « Perché per vivere davvero si deve avere tempo. Bisogna essere liberi. Io invece resterò per tutta la vita prigioniero di chiacchiere, schiuma di sapone e ticchettìo di forbici ».
In quel momento si avvicinò un'elegante automobile color cenerino che si fermò esattamente davanti alla barbierìa del signor Fusi. Ne scese un Signore Grigio che entrò nella bottega, posò la borsa grigio-piombo sulla mensola al disotto dello specchio, appese la bombetta ad un gancio dell'attaccapanni, sedette sulla poltrona, tolse di tasca la sua agenda e cominciò a sfogliarla mentre traeva piccoli sbuffi di fumo dal suo piccolo sigaro grigio.
Il signor Fusi chiuse la porta perché gli parve che facesse freddo.
«In che posso servirla?» domandò, perplesso. «Barba o capelli?» e contemporaneamente si maledisse per la propria mancanza di tatto perché il signore aveva una calvizie lustra come uno specchio.
«Né l'uno né l'altro », rispose il Signore Grigio, senza sorridere, con una voce afona, come spenta, cenerognola, se così si può definirla. «Vengo per conto della Cassa di Risparmio del Tempo; sono l'agente Nr. XYQ/384/b. Sappiamo che lei vuole aprire un libretto di risparmio presso di noi ».
«Per me è una novità», confessò il signor Fusi ancor più sconcertato. «Per dirla sinceramente non ho mai saputo che esistesse un istituto del genere».
«Adesso lo sa», rispose secco secco l'altro. Guardò nel suo taccuino e proseguì: «Dunque, lei è il signor Fusi, barbiere?».
«Esatto, sono proprio io», rispose il signor Fusi.
«Allora non ho sbagliato indirizzo », disse il Signore Grigio e chiuse l'agenda con un colpetto. «Lei è un nostro candidato».
« Cosa? Come?» domandò il signor Fusi stupito.
« Vede, caro signor Fusi, lei spreca la vita tra ticchettio di forbici, chiacchiere e schiuma di sapone. Quando morirà sarà come se non fosse mai esistito. Se invece avesse tempo per vivere una vera vita, allora sarebbe davvero un altro uomo. Quel che le occorre è il tempo. Ho ragione? ».
«Era proprio quello che stavo pensando » mormorò il signor Fusi con un brivido, perché — sebbene avesse chiuso la porta — faceva sempre più freddo.
«Vede dunque!» fece di rimando il Signore Grigio, aspirando con soddisfazione dal suo piccolo sigaro. «Ma, dica, da dove si prende il tempo? Bisogna risparmiarlo, per l'appunto. Lei, signor Fusi, spreca il suo tempo in modo davvero irresponsabile! Glielo dimostrerò con un piccolo calcolo. Un minuto ha sessanta secondi. Un'ora ha sessanta minuti. Mi segue?».
«Certo» disse il signor Fusi.
L'agente Nr. XYQ/384/b cominciò a scrivere i numeri sullo specchio con un bastoncino grigio, simile a quelli che le donne usano per truccarsi gli occhi.
«Sessanta per sessanta fa tremilaseicento. Dunque un'ora ha tremilaseicento secondi.
Un giorno ha ventiquattro ore, quindi tremilaseicento per ventiquattro fa ottantaseimilaquattrocento secondi al giorno.
E un anno ha, come sappiamo, trecentosessantacinque giorni. Il che ci dà trentunmilionicinquecentotrentaseimila secondi per anno. Vale a dire trecentoquindicimilionitrecentosessantamila secondi in dieci anni.
Quanto valuta lei, signor Fusi, la durata della sua vita?».
«Beh, io spero di arrivare ai settanta, ottant'anni, a Dio piacendo», balbettò il signor Fusi, frastornato.
«Bene», proseguì il Signore Grigio. «Per precauzione facciamo soltanto settant'anni.
Moltiplico trecentoquindicimilionitrecentosessantamila per sette. Fa duemiliardiduecentosettemilionicinquecentoventimila secondi».
E scrisse sullo specchio, ben grandi, i numeri del totale ottenuto:
2.207.520.000 secondi
Poi lo sottolineò varie volte e dichiarò: « Questo dunque, signor Fusi, è il capitale a sua disposizione».
Il signor Fusi deglutì e si passò la mano sulla fronte. Mai aveva pensato di essere così ricco.
«Sì, è una cifra impressionante, vero? » fece l'agente assentendo col capo e tirando sul suo piccolo sigaro grigio. «Ma adesso dobbiamo continuare. Quanti anni ha, lei, signor Fusi?».
« Quarantadue», farfugliò e si sentì inaspettatamente colpevole di appropriazione indebita.
«Quante ore dorme, in media, per notte?» continuò a indagare il Signore Grigio.
« Otto ore circa », confessò il signor Fusi.
L'agente calcolò con la rapidità del fulmine. Il bastoncino strideva tanto sullo specchio che al povero Signor Fusi gli s'aggricciava la pelle.
«Quarantadue anni — otto ore al giorno — fa già quattrocentoquarantunmilionicinquecentoquattromila secondi. È una somma che a buon diritto possiamo considerare perduta. Quanto tempo deve sacrificare ogni giorno al lavoro, lei, signor Fusi?».
«Altre otto ore all'incirca», ammise il signor Fusi, imbarazzato.
«Allora dobbiamo registrare ancora la stessa somma nella colonna dei debiti» proseguì l'agente inesorabile. «Adesso dobbiamo registrare il tempo che perde per la necessità di nutrirsi. Quanto gliene occorre, in totale, per i pasti della giornata?».
«Di preciso non lo so. Forse due ore », disse il signor Fusi, avvilito.
«Mi sembra troppo poco», rilevò l'agente, « ma ammettiamo che sia vero; allora in quarantadue anni abbiamo l'ammontare di centodiecimilionitrecentosettantaseimila. Andiamo avanti. Lei vive solo con la sua vecchia madre, come ci risulta. Ogni giorno lei le dedica un'ora intera, vale a dire che le si siede vicino e le parla, benché sia così sorda che a stento riesce a sentire. Anche questo è tempo perduto: fa cinquantacinquemilionicentottantottomila. Inoltre lei ha un pappagalletto — che tiene senza alcuna necessità —per governare il quale lei perde ogni giorno un quarto d'ora circa il che, al cambio, fa tredicimilionisettecentonovantasettemila ».
«Ma... » interloquì, supplicando, il signor Fusi.
«Non mi interrompa!» lo investì l'agente che faceva i calcoli sempre più rapido. «Siccome sua madre è inferma, lei, signor Fusi, deve sbrigare una parte di lavori domestici; deve fare la spesa, pulire le scarpe e simili altre cose fastidiose. Quanto le prendono di tempo ogni giorno? ».
«Forse un'ora, però... ».
«Fa altri cinquantacinquemilionicentottantottomila secondi, signor Fusi. Sappiamo inoltre che una volta alla settimana lei va al cinema, che, anche una volta alla settimana, lei va a cantare in una società corale, che lei è avventore fisso di un ristorante due volte alla settimana, e che nelle restanti sere s'incontra con gli amici o che legge persino dei libri. Insomma lei ammazza il tempo in attività improduttive, precisamente per tre ore ogni giorno e questo fa centosessantacinquemilionicinquecentosessantaquattromila secondi... Non sta bene, signor Fusi?».
«No, mi scusi, la prego... » rispose il signor Fusi.
«Stiamo per finire, ma dobbiamo ancora parlare di un capitolo privato della sua vita. Cioè, lei ha un piccolo segreto, lo sa bene ».
« Anche questo sapete? Credevo che tranne me e la signorina Daria... » mormorò ormai privo di forza.
«Nel nostro mondo moderno non c'è posto per i segretucci» lo interruppe l'agente Nr. XYQ/384/b. «Consideri la cosa con realismo e oggettività, signor Fusi. Risponda a una domanda: vuole sposare la signorina Daria? ».
«No, questo no... » rispose il signor Fusi.
«Precisamente», proseguì il Signore Grigio, «visto che la signorina Daria rimarrà inchiodata alla poltrona a rotelle per tutta la vita, paralizzata alle gambe com'è. Eppure lei va a trovarla ogni giorno, per mezz'ora, per portarle un fiore. A che scopo?».
«Le fa sempre tanto piacere», rispose il signor Fusi, vicino alle lacrime.
«Ma considerando la cosa oggettivamente, per lei, signor Fusi, è tempo perduto. Esattamente ventisettemilionicinquecentonovantaquattromila secondi. E se poi aggiungiamo che lei ha l'abitudine di sedersi ogni sera alla finestra — per un quarto d'ora — prima di coricarsi, e di riflettere su parole e fatti della giornata trascorsa, arriviamo a una somma di tredicimilionisettecentonovantasettemila, anche da sottrarre. Vediamo adesso quanto le rimane, signor Fusi».
Sullo specchio c'era ora il conto seguente:
Sonno 441.504.000 secondi
Lavoro 441.504.000 “
Pasti 110.376.000 “
Madre 55.188.000 “
Pappagalletto 13.797.000 “
Spesa, scarpe ecc. 55.188.000 “
Amici, canto ecc. 165.564.000 “
Segreto 27.594.000 “
Finestra 13.797.000 “
Totale 1.324.512.000 secondi
« Questa somma», disse il Signore Grigio, bussando col bastoncino sullo specchio con tal forza che parevano colpi di rivoltella, « questa somma, dunque, è il tempo che lei ha già perduto fino a questo momento. Che gliene pare, signor Fusi?».
Al signor Fusi non gli pareva proprio niente. Sedette su una sedia, in un angolo e si deterse la fronte con il fazzoletto poiché, nonostante il freddo gelido, adesso stava sudando.
Il Signore Grigio assentiva, grave.
« Sì, vedo che si sta rendendo conto », disse. «È già più della metà del suo capitale iniziale, signor Fusi. Vediamo adesso cosa le è rimasto dei suoi quarantadue anni. Un anno, come lei sa, sono trentunmilionicinquecentotrentaseimila secondi che moltiplicato per quarantadue fa unmiliardotrecentoventiquattromilionicinquecentododicimila secondi».
Scrisse questa cifra sotto la colonna del tempo perduto:
1.324.512.000 secondi
— 1.324.512.000 “
0.000.000.000 secondi
Ripose il suo bastoncino grigio e fece una lunga pausa affinché la vista di quella serie di zeri producesse il suo effetto sul signor Fusi. E lo produceva.
« Questo è il bilancio di tutta la mia vita fino a questo momento », pensava il signor Fusi, annichilito.
Impressionato com'era dal calcolo che quadrava con tanta precisione, accettò tutto senza opporsi.
E il calcolo in sé era esatto. Era uno dei trucchi con i quali i Signori Grigi truffavano gli uomini in migliaia di circostanze.
«Non trova, signor Fusi», riprese la parola, mellifluo, l'agente Nr. XYQ/384/b, «che lei non può continuare con questi sperperi? Non sarebbe meglio cominciare a risparmiare?».
Il signor Fusi annuì; aveva le labbra violacee per il freddo.
«Se, per farle un esempio », risonò alle orecchie del povero barbiere la voce cenerognola dell'agente, «se lei avesse cominciato a risparmiare, già venti anni fa, anche soltanto un'ora al giorno, lei avrebbe adesso un credito di ventiseimilioniduecentottantamila secondi.
Con due ore al giorno di risparmio il credito sarebbe, naturalmente, il doppio e cioè cinquantaduemilionicinquecentosessantamila. E, dica, la prego signor Fusi, che cosa sono due miserabili orette a confronto di una simile somma? ».
«Niente! Una ridicola inezia! » gridò il signor Fusi.
«Mi compiaccio che lei lo riconosca », proseguì l'agente, incurante. «E se poi calcolassimo quello che potrebbe risparmiare nei prossimi venti anni e nelle medesime condizioni, arriveremmo alla stupenda somma di centocinquemilionicentoventimila secondi. Questo capitale sarebbe a sua completa disposizione al suo sessantaduesimo compleanno».
«Magnifico! » balbettò il signor Fusi, a occhi sbarrati.
« Aspetti. Viene il meglio. Noi della Cassa di Risparmio del Tempo, non ci limitiamo a custodire il tempo che lei ha risparmiato, ma le paghiamo anche gli interessi. Vale a dire che, in realtà, lei avrebbe molto di più».
« Quanto di più?» domandò il signor Fusi senza fiato.
«Questo dipenderà da lei», tenne a precisare l'agente. «Secondo quanto vuole risparmiare e secondo la durata del vincolo dei suoi risparmi presso la nostra cassa».
«Vincolo? Che significa?» s'informò il signor Fusi.
«Molto semplice creda. Se lei non esigerà la restituzione del tempo depositato presso di noi per cinque anni, noi le raddoppieremo la somma. In breve: il suo capitale si raddoppia ogni cinque anni, capisce? Dopo dieci anni sarà quattro volte la somma iniziale, dopo quindici otto volte e così via. Se lei avesse cominciato a risparmiare soltanto due ore ogni giorno, venti anni fa, al suo sessantaduesimo compleanno e cioè dopo complessivi quarant'anni, avrebbe a sua disposizione duecentocinquantasei volte il tempo risparmiato. Sarebbero ventiseimiliardinovecentodiecimilionisettecentoventimila secondi».
Estrasse di nuovo il bastoncino grigio e scrisse sullo specchio:
26.910.720.000 secondi
«Lo vede da sé, signor Fusi», disse poi e sorrise per la prima volta, avaramente, a labbra stirate, «sarebbe più del decuplo della sua vita sino ad oggi. E soltanto col risparmio di due ore al giorno. Pensi un po' se questa non è un'offerta vantaggiosa! ».
«E come no? Certo che sì!» esclamò il signor Fusi, esausto. «Sono proprio un disgraziato a non aver cominciato da giovane a risparmiare! Adesso me ne rendo conto e devo confessarlo... sono disperato! ».
«Ma non ce n'è motivo! Non è mai troppo tardi», replicò il Signore Grigio blandamente. «Se lei vuole
può cominciare oggi stesso. Vedrà, ne vale la pena! ». «Eccome se voglio! » esultò il signor Fusi. « Che debbo fare?».
«Ma, carissimo amico, saprà bene come si risparmia il tempo!» rispose l'agente inarcando le sopracciglia. «Lei deve, per esempio, lavorare più in fretta e abbandonare tutte le cose inutili. Al posto di mezz'ora, dedichi un quarto d'ora a ogni cliente. Eviti gli svaghi da perditempo. Riduca l'ora che passa con sua madre a mezz'ora. Meglio sarebbe ricoverarla in un buon ospizio per vecchi, poco costoso, dove la assisteranno al posto suo e così lei guadagnerà un'intera ora al giorno. Levi di mezzo quell'inutile pappagalletto! Vada a trovare la signorina Daria soltanto una volta ogni quindici giorni, se proprio non può farne a meno. Lasci perdere il suo quarto d'ora di meditazione serotina e, soprattutto, non sprechi il suo preziosissimo tempo cantando, leggendo oppure coi suoi cosiddetti amici. Le raccomando — peraltro tra parentesi — di appendere nel suo negozio un orologio grande e preciso per poter controllare meglio il lavoro del suo garzone».
«Va bene, tutto questo posso farlo», disse il signor Fusi, «ma del tempo che in tal modo mi avanza... che ne farò? Devo depositarlo? E dove? O devo conservarlo? Come funziona la faccenda? ».
« Quanto a questo non si preoccupi», disse il Signore Grigio sorridendo per la seconda volta a labbra serrate. «Lasci che ci pensiamo noi. Lei può star sicuro che non andrà perduto nemmeno un briciolo di secondo del tempo da lei risparmiato. Vedrà che non avanzerà niente ».
«Benissimo », convenne il signor Fusi, stordito. «Mi fido di voi».
«Ci conti, caro amico», disse l'agente alzandosi. «E con ciò le do il benvenuto come nuovo socio della grande comunità dei Risparmiatori di Tempo. Adesso anche lei, signor Fusi, è un uomo davvero moderno e progredito. Congratulazioni! ».
E su queste parole prese la bombetta e la cartella.
«Un momento! Ancora un momento!» lo fermò il signor Fusi. «Non dobbiamo stipulare un contratto? Non devo mettere firme? Non mi dà un documento?».
Di su la porta della bottega l'agente XYQ/384/b squadrò il signor Fusi con una certa indignazione.
«A che scopo?» domandò. «Il Risparmio di Tempo non è paragonabile ad alcun'altra forma di risparmio. È una questione di assoluta fiducia, da ambo le parti! A noi basta il suo assenso. È irrevocabile. Noi ci occupiamo dei suoi risparmi. Quanto intende risparmiare è affar suo. Noi non le imponiamo alcun obbligo. Si stia bene, signor Fusi».
Quindi l'agente salì sulla sua elegante automobile grigia e partì rombando.
Il signor Fusi lo seguì con lo sguardo e si soffregò la fronte. A poco a poco gli tornava il calore nelle membra, ma si sentiva ammalato e miserevole. Le volute grigiazzurre del piccolo sigaro fluttuarono a lungo nel locale, restie a dissolversi.
Soltanto quando il fumo svanì il signor Fusi si sentì meglio. Ma, a misura che il fumo se n'era andato, erano impallidite anche le cifre sullo specchio. E quando furono cancellate, scomparve dalla memoria del signor Fusi anche il ricordo del visitatore grigio... del visitatore, non quello della decisione! Questa la considerò sua. Il proposito di risparmiare tempo da ora in poi — per poter incominciare un'altra vita, prima o poi nel futuro — era conficcato nella sua anima come un aculeo uncinato.
E poi arrivò il primo cliente della giornata. Il signor Fusi lo servì di malavoglia, tralasciò i convenevoli superflui, non parlò e, in effetti, invece di mezz'ora finì in venti minuti.
Allo stesso modo si comportò da allora in poi con tutti i clienti. Eseguito così, il suo lavoro non gli dava più alcun piacere, ma ormai questo non contava. Oltre al garzone apprendista assunse altri due aiutanti e vigilava perché non perdessero nemmeno un solo momento. Ogni gesto era compiuto secondo un programma di tempo rigorosamente calcolato. Nella bottega del signor Fusi penzolava ora un cartello che diceva:
TEMPO RISPARMIATO È TEMPO RADDOPPIATO
Alla signorina Daria inviò una breve lettera incolore con la quale le comunicava che, per mancanza di tempo, non poteva più andare a farle visita.
Vendette il pappagalletto ad una uccellerìa. Sistemò la madre in un asilo per vecchi, buono ma a prezzo modico, dove andava a trovarla una volta al mese. E anche per tutto il resto seguì i suggerimenti del Signore Grigio, considerandoli decisioni proprie.
Era sempre più nervoso e angustiato perché accadeva una cosa inspiegabile: di tutto il tempo che risparmiava non gliene restava mai un po'. Ecco, spariva in modo misterioso e non c'era più. Dapprima appena avvertibile e poi in maniera evidente, le sue giornate divennero sempre più corte. Prima che se ne rendesse conto erano passati una settimana, un mese, un anno e poi un altro e un altro ancora.
Poiché non aveva memoria della visita del Signore Grigio, avrebbe dovuto chiedersi, in coscienza, dove andava a finire tutto il suo tempo. Ma, come per tutti gli altri risparmiatori, era una domanda inesistente. Quella che si era impadronita di lui era un'ossessione cieca. E se qualche volta si accorgeva, con spavento, che i suoi giorni fuggivano veloci, sempre più veloci, risparmiava con maggiore frenesia.
Come al signor Fusi accadeva a molti altri abitanti della grande città. Ogni giorno aumentavano le persone che si dedicavano a una faccenda chiamata «Risparmiare Tempo ». E quanti più erano tanto più venivano imitati perché — anche per chi non voleva saperne — non c'era altra scelta che adeguarsi.
Ogni giorno alla radio, alla televisione, sui quotidiani si spiegavano e si magnificavano i vantaggi delle nuove tecniche per risparmiare tempo, che — un giorno — avrebbero offerto agli uomini la libertà per una « vera vita ». Sui muri e sugli spazi pubblicitari gli attacchini incollavano manifesti raffiguranti ogni possibile immagine della felicità; e, sotto, l'ossessione delle scritte a lettere luminose:
I RISPARMIATORI DI TEMPO VIVONO MEGLIO!
oppure:
IL FUTURO APPARTIENE AI RISPARMIATORI DI TEMPO!
oppure:
MIGLIORA LA TUA VITA... RISPARMIA IL TEMPO!
Ma la realtà era molto diversa. Certo, i risparmiatori di tempo erano vestiti meglio della gente che viveva nei dintorni dell'anfiteatro; guadagnavano più denaro e potevano spendere di più. Ma avevano facce afflitte, stanche o amareggiate e occhi duri e freddi. Ignoravano che si potesse «andare da Momo». Non avevano chi sapesse ascoltarli tanto bene da renderli ragionevoli, concilianti e perciò felici. Ma se anche avessero conosciuto l'esistenza di una creatura tanto preziosa, non è sicuro che sarebbero andati a trovarla, a meno che si potesse risolvere la faccenda in cinque minuti; altrimenti lo avrebbero reputato tempo perduto. Secondo il loro modo di pensare anche il tempo libero doveva essere messo a profitto, e in tutta fretta, per procurarsi divertimenti e distensione nella massima misura possibile.
Così non potevano celebrare feste o commemorare avvenimenti tristi o lieti; i sogni erano considerati quasi dei crimini. Ma la cosa più difficile da sopportare era, per loro, il silenzio. Nel silenzio li assaliva l'angoscia perché nel silenzio intuivano quel che stava capitando alla loro vita. Per questo facevano rumore quando il silenzio li minacciava; però non il baccano giocondo che regna là dove giocano i bambini, ma un rumore rabbioso e sgomento che di giorno in giorno inondava la grande città con irrefrenabile crescendo.
Che a uno piacesse il suo lavoro e lo facesse con amore per l'opera creata, non aveva importanza... anzi dava fastidio. Importante era solo fare il massimo di lavoro in un minimo di tempo.
In tutti i luoghi di lavoro delle grandi fabbriche, in tutti gli uffici, pendevano cartelli con scritte di questo genere:
IL TEMPO È PREZIOSO - NON PERDERLO!
oppure:
IL TEMPO È DENARO - RISPARMIALO!
Cartelli analoghi erano appesi dietro le scrivanie dei capi, dietro le poltrone dei direttori, nei gabinetti medici, nei negozi, nei ristoranti, nei grandi magazzini, nelle scuole e persino negli asili d'infanzia. Dappertutto, senza alcuna esclusione.
E infine — giorno dopo giorno — anche la grande città aveva mutato aspetto. Si demolivano i vecchi quartieri e si costruivano case nuove dalle quali era escluso qualsiasi elemento reputato superfluo. Si evitava la fatica di costruire abitazioni adatte all'umanità che doveva viverci; assecondare i molteplici gusti degli uomini significava edificare case di stile e tipo diverso. Era più a buon mercato e soprattutto si risparmiava tempo costruendole tutte uguali.
A nord della grande città si estendevano già immensi quartieri nuovi. Fabbricavano case d'abitazione a molti piani, casermoni che si assomigliavano come un uovo bianco somiglia a un altro uovo bianco. E siccome tutte le case erano uguali, anche le strade erano identiche. E quelle strade monotone aumentavano e aumentavano, rettifili lanciati a perdersi nell'orizzonte. Un deserto di ordine. Allo stesso modo scorreva la vita dell'umanità che le abitava: rettifili fino all'orizzonte. Perché lì tutto era calcolato e pianificato con esattezza, ogni centimetro e ogni istante.
Nessuno si rendeva conto che, risparmiando tempo, in realtà risparmiava tutt'altro. Nessuno voleva ammettere che la sua vita diventava sempre più povera, sempre più monotona e sempre più fredda.
Se ne rendevano conto i bambini, invece, perché nessuno aveva più tempo per loro.
Ma il tempo è vita. E la vita risiede nel cuore. E quanto più ne risparmiavano, tanto meno ne avevano.
Nessun commento:
Posta un commento