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mercoledì 25 giugno 2008

iperico



Pianta magica

Una delle piante simbolo di questa festività è senz’altro l’iperico (hypericumperforratum, fam.Hypericaceae), che la tradizione considerava “magica”. Pianta dai molti nomi e della storia: l’inizio della sua fioritura coincide con l’inizio dell’estate. Specie cosmopolita, molto diffusa anche in Africa e nelle Americhe e persino in Australia, e spontanea, perenne, può raggiungere anche il metro d’altezza e produce da tra giugno e settembre dei fiori gialli a cinque petali, picchiettati di nero al margine, che schiacciati secernano un liquido rosso, il famoso “sangue di San Giovanni”. La sua valenza magica è rintracciabile anche nella narrazione biblica. Dove chiamato con il nome Rosa Sharon, in onore dell’anonima valle ad occidente del Fiume Giordano. I primi cristiani la chiamano l’erba di San Giovanni, in onore di Giovanni Battista, ritenendo che sulla pianta cadde il sangue del santo decapitato. Il nome del genere deriva dal greco yper (sopra) ed eckon (immagine) e vuol dire “sopra od oltre l’immagine “, ossia, come sosteneva il medico greco Dioscoride, più forte degli spettri, apparizione D’oltre tomba del mondo infero, i quali non potevano sopportare l’odore.

È curioso che la pianta bruciata emani, guarda caso un odore molto simile all’incenso, dai molti impieghi apotropaici (per allontanare le negatività). Per questo motivo era soprannominato anche “scaccia diavoli”. L’epiteto specifico perforatum, invece, si deve alle sue foglie, che in contro luce appaiono costellate da numerosissimi forellini (in realtà ghiandole traslucide e secernenti), che gli ha fatto guadagnare il nome volgare francese Millepertuis, ovvero “mille buchi”. Secondo la teoria della signatura, i “fori” erano paragonabili a tante ferite, per questo motivo si riteneva fosse proprio in grado di curarle: per tale motivo fu utilizzato con successo dai crociati nelle battaglie. A ciò si aggiungeva la signatura dei fiori, che strofinati macchiavano di rosso sangue le dita, altro segno e indizio delle sue proprietà cicatrizzanti. La leggenda vuole che fu Gesù stesso dalla croce a lasciar cadere il suo sangue su di essa. Per il botanico, la morfologia della pianta e i suoi principi attivi non hanno ovviamente alcuna valenza simbolica, ma per l’antica tradizione i segni diventano il modo di comunicare all’uomo la sacralità del vegetale, che, attraverso la semantica delle forme e il linguaggio analogico assumevano significativi trascendenti. I cinque petali del fiore, disposti a stella, ricordano il pentagramma fiammeggiante, la cui forma rappresenta l’uomo evoluto, la perfezione. Questa pianta era considerata così la rappresentazione del sole, della luce, dell’eroe solare, e il bocciolo, di forma spiraloide, era assimilato alla luminosa ruota solare. Considerando un potente talismano, si credeva guarisse da molte malattie, predicesse l’avvenire e il suo succo, il sangue di San Giovanni, era ingrediente indispensabile nella composizione di filtri e pozioni con le quali si riteneva di poter influenzale la volontà umana. Pianta legata all’amore, raccolta nella magica notte della vigilia il 23 giugno, e messa sotto il cuscino, servisse per propiziare i legami amorosi e predire i futuri matrimoni. Nel secolo il naturalista romano Plinio lo consigliava come cura contro i morsi di serpenti velenosi. Galeno ritenendo che esso condensasse le energie curative della luce solare, lo consigliava per il trattamento delle malattie invernali da eccesso d’umidità (caldo asciutto contro freddo umido) e per analogia utile contro quelli stati mentali assimilabili al grigio della nebbia (melanconia, depressione). I fiori lasciati in infusione in olio d’oliva esposto al sole per un mese, gli conferiscono un colore rosso rubino come il sangue. Dopo qualche settimana era filtrato se n’otteneva un olio rosso intenso che era usato per le ferite profonde, ma anche per le ustioni solari e da fuoco; tale rimedio è ancora oggi molto in uso nelle valli alpine e si trova in commercio. L’iperico fu circondato da superstizioni e leggende fino a quando le ricerche chimico-farmacologiche non individuarono i suoi principi attivi, avvalorando così non solo tutti gli impegni terapeutici del passato, ma anche scoprendone altri. Oggi è, infatti, risaputo che il colore rosso è conferito all’olio d’ipericina ivi contenuta, con azione cicatrizzante e antinfiammatoria, efficace per le scottature e le ferite. Efficacissimo per uso esterno anche per emorroidi, tumefazioni e in generale disturbi della pelle e nei massaggi per il trattamento di reumatismi, lombaggini, lussazioni, ematomi, crampi, mal d’orecchie. Nella bellezza è valido aiuto conto i segni dell’invecchiamento, rigenerando le cellule della pelle. In uso interno è efficace come antispasmodico, nell’ulcera e nella gastrite, per la nausea come diuretico, ipotensivo, mestruoregolatore, analgesico, antibiotico e vermifugo. Nella medicina popolare, oltre per i disturbi ai reni e ai polmoni, era utilizzato per la melanconia oggi meglio conosciuta come depressione male diffuso del secolo, impiego per il qual è molto apprezzato. Nei fiori e nelle foglie, infatti, sono presenti numerosi composti con documentata attività biologica. Attualmente l’efficacia antivirale, immunostimolante e antibatterica dell’iperico è studiata per la cura dell’Aids e varie forme di cancro.

Quest’articolo è stato pubblicato su

PIEMONTE PARCHI maggio 2007








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