MI PIACEREBBE APRIRE UNA FINESTRA

CON IL MONDO DOVE DIALOGARE DI TUTTO E UN PO',

DELLE MIE PASSIONI,

DEI MIEI PROGETTI, DEI MIEI SOGNI,

E PERCHE' NO ANCHE DELLE MIE TRISTEZZE

martedì 17 giugno 2008

Conti falsati e risultati giusti da “Momo” di Michael Ende, ed. SEI

Conti falsati e risultati giusti
da “Momo” di Michael Ende, ed. SEI


Esiste un grande eppur quotidiano miste­ro. Tutti gli uomini ne partecipano ma pochissimi si fermano a rifletterci. Quasi tutti si limitano a prender­lo come viene e non se ne meravigliano affatto. Que­sto mistero è il Tempo.
Esistono i calendari e orologi per misurarlo, misu­re di ben poco significato, perché tutti sappiamo che, talvolta, un'unica ora ci può sembrare un'eternità, e un'altra invece passa in un attimo... dipende da quel che viviamo in quest'ora.
Perché il tempo è vita. E la vita dimora nel cuore.
E nessuno lo sapeva meglio dei Signori Grigi. Nes­suno sapeva — come loro — apprezzare tanto bene il valore di un'ora, di un minuto, di un solo secondo di vita. Certo, lo apprezzavano a modo loro — così co­me le sanguisughe apprezzano il sangue — e, a modo loro, agivano in conformità.
Avevano piani precisi circa il tempo degli uomini. Erano piani a lunghissima, secolare scadenza, e minu­ziosamente preparati. La cura più importante era che nessuno prestasse attenzione alla loro attività. Si era­no stabiliti fra gli abitanti della grande città senza dare nell'occhio. E gradatamente, poco alla volta, senza che alcuno se ne rendesse conto, avanzavano ogni giorno più a fondo e prendevano possesso degli uo­mini.
Conoscevano bene la persona idonea ai loro sco­pi assai prima che il designato stesso lo potesse intui­re. Aspettavano soltanto il momento buono per po­terlo agguantare e facevano del loro meglio perché tale momento giungesse al più presto.
Per esempio prendiamo il signor Fusi, barbiere. Certo, non un figaro di classe, però molto apprezzato nella sua strada. Non era né povero né ricco. Nella sua piccola bottega, situata al centro della città, c'era lavoro anche per un garzone apprendista.
Un giorno il signor Fusi stava sulla porta della sua barbierìa in attesa della clientela abituale. Era il giorno di libertà del garzone e il signor Fusi era solo. Guardava la pioggia scrosciare sulla strada; era un giorno plumbeo' e l'animo del signor Fusi era turbato come il tempo.
«La mia vita se ne va col ticchettìo delle forbici, con chiacchiere e schiuma di sapone », pensava. « Che ne è della mia esistenza? Quando sarò morto sarà come se non fossi mai vissuto ».
Non bisogna credere che il signor Fusi fosse nemi­co delle chiacchiere. Al contrario, gli piaceva assai esporre ai clienti — e ampiamente — le proprie opi­nioni e ascoltare quel che loro ne pensavano. E nean­che gli davano fastidio il ticchettìo delle forbici o la schiuma di sapone. Faceva il suo lavoro con piacere e sapeva di farlo bene. La sua abilità nel radere contro­pelo sotto il mento era insuperabile. Ma ci sono mo­menti in cui niente ha importanza. Succede a tutti.
«Tutta la mia vita è stato uno sbaglio! » pensava il signor Fusi. « Chi sono mai, io? Un poveraccio di bar­biere, ecco quello che sono! Se potessi vivere una vera vita sarei un uomo del tutto diverso! ».
Quale fosse questa vera vita, il signor Fusi non ne aveva la minima idea. Pensava vagamente a qualcosa di importante, sfarzoso, come si vede sulle riviste illu­strate.
«Ma per queste cose il mio lavoro non mi lascia tempo» continuava a pensare pieno di pessimismo. « Perché per vivere davvero si deve avere tempo. Bi­sogna essere liberi. Io invece resterò per tutta la vita prigioniero di chiacchiere, schiuma di sapone e tic­chettìo di forbici ».
In quel momento si avvicinò un'elegante automo­bile color cenerino che si fermò esattamente davanti alla barbierìa del signor Fusi. Ne scese un Signore Grigio che entrò nella bottega, posò la borsa grigio-piombo sulla mensola al disotto dello specchio, appe­se la bombetta ad un gancio dell'attaccapanni, sedette sulla poltrona, tolse di tasca la sua agenda e cominciò a sfogliarla mentre traeva piccoli sbuffi di fumo dal suo piccolo sigaro grigio.
Il signor Fusi chiuse la porta perché gli parve che facesse freddo.
«In che posso servirla?» domandò, perplesso. «Barba o capelli?» e contemporaneamente si male­disse per la propria mancanza di tatto perché il signo­re aveva una calvizie lustra come uno specchio.
«Né l'uno né l'altro », rispose il Signore Grigio, senza sorridere, con una voce afona, come spenta, cenerognola, se così si può definirla. «Vengo per con­to della Cassa di Risparmio del Tempo; sono l'agente Nr. XYQ/384/b. Sappiamo che lei vuole aprire un li­bretto di risparmio presso di noi ».
«Per me è una novità», confessò il signor Fusi ancor più sconcertato. «Per dirla sinceramente non ho mai saputo che esistesse un istituto del genere».
«Adesso lo sa», rispose secco secco l'altro. Guar­dò nel suo taccuino e proseguì: «Dunque, lei è il si­gnor Fusi, barbiere?».
«Esatto, sono proprio io», rispose il signor Fusi.
«Allora non ho sbagliato indirizzo », disse il Signo­re Grigio e chiuse l'agenda con un colpetto. «Lei è un nostro candidato».
« Cosa? Come?» domandò il signor Fusi stupito.
« Vede, caro signor Fusi, lei spreca la vita tra tic­chettio di forbici, chiacchiere e schiuma di sapone. Quando morirà sarà come se non fosse mai esistito. Se invece avesse tempo per vivere una vera vita, allo­ra sarebbe davvero un altro uomo. Quel che le occor­re è il tempo. Ho ragione? ».
«Era proprio quello che stavo pensando » mormo­rò il signor Fusi con un brivido, perché — sebbene avesse chiuso la porta — faceva sempre più freddo.
«Vede dunque!» fece di rimando il Signore Gri­gio, aspirando con soddisfazione dal suo piccolo siga­ro. «Ma, dica, da dove si prende il tempo? Bisogna risparmiarlo, per l'appunto. Lei, signor Fusi, spreca il suo tempo in modo davvero irresponsabile! Glielo di­mostrerò con un piccolo calcolo. Un minuto ha ses­santa secondi. Un'ora ha sessanta minuti. Mi segue?».
«Certo» disse il signor Fusi.
L'agente Nr. XYQ/384/b cominciò a scrivere i nu­meri sullo specchio con un bastoncino grigio, simile a quelli che le donne usano per truccarsi gli occhi.
«Sessanta per sessanta fa tremilaseicento. Dunque un'ora ha tremilaseicento secondi.
Un giorno ha ventiquattro ore, quindi tremilasei­cento per ventiquattro fa ottantaseimilaquattrocento secondi al giorno.
E un anno ha, come sappiamo, trecentosessanta­cinque giorni. Il che ci dà trentunmilionicinquecento­trentaseimila secondi per anno. Vale a dire trecentoquin­dicimilionitrecentosessantamila secondi in dieci anni.
Quanto valuta lei, signor Fusi, la durata della sua vita?».
«Beh, io spero di arrivare ai settanta, ottant'anni, a Dio piacendo», balbettò il signor Fusi, frastornato.
«Bene», proseguì il Signore Grigio. «Per precau­zione facciamo soltanto settant'anni.
Moltiplico trecentoquindicimilionitrecentosessantamila per sette. Fa duemiliardiduecentosettemilioni­cinquecentoventimila secondi».
E scrisse sullo specchio, ben grandi, i numeri del totale ottenuto:

2.207.520.000 secondi

Poi lo sottolineò varie volte e dichiarò: « Questo dunque, signor Fusi, è il capitale a sua disposizione».
Il signor Fusi deglutì e si passò la mano sulla fron­te. Mai aveva pensato di essere così ricco.
«Sì, è una cifra impressionante, vero? » fece l'a­gente assentendo col capo e tirando sul suo piccolo sigaro grigio. «Ma adesso dobbiamo continuare. Quanti anni ha, lei, signor Fusi?».
« Quarantadue», farfugliò e si sentì inaspettata­mente colpevole di appropriazione indebita.
«Quante ore dorme, in media, per notte?» conti­nuò a indagare il Signore Grigio.
« Otto ore circa », confessò il signor Fusi.
L'agente calcolò con la rapidità del fulmine. Il ba­stoncino strideva tanto sullo specchio che al povero Signor Fusi gli s'aggricciava la pelle.
«Quarantadue anni — otto ore al giorno — fa già quattrocentoquarantunmilionicinquecentoquattromi­la secondi. È una somma che a buon diritto possiamo considerare perduta. Quanto tempo deve sacrificare ogni giorno al lavoro, lei, signor Fusi?».
«Altre otto ore all'incirca», ammise il signor Fusi, imbarazzato.
«Allora dobbiamo registrare ancora la stessa som­ma nella colonna dei debiti» proseguì l'agente ine­sorabile. «Adesso dobbiamo registrare il tempo che perde per la necessità di nutrirsi. Quanto gliene oc­corre, in totale, per i pasti della giornata?».
«Di preciso non lo so. Forse due ore », disse il signor Fusi, avvilito.
«Mi sembra troppo poco», rilevò l'agente, « ma ammettiamo che sia vero; allora in quarantadue anni abbiamo l'ammontare di centodiecimilionitrecento­settantaseimila. Andiamo avanti. Lei vive solo con la sua vecchia madre, come ci risulta. Ogni giorno lei le dedica un'ora intera, vale a dire che le si siede vicino e le parla, benché sia così sorda che a stento riesce a sentire. Anche questo è tempo perduto: fa cinquanta­cinquemilionicentottantottomila. Inoltre lei ha un pappagalletto — che tiene senza alcuna necessità —per governare il quale lei perde ogni giorno un quarto d'ora circa il che, al cambio, fa tredicimilionisettecen­tonovantasettemila ».
«Ma... » interloquì, supplicando, il signor Fusi.
«Non mi interrompa!» lo investì l'agente che face­va i calcoli sempre più rapido. «Siccome sua madre è inferma, lei, signor Fusi, deve sbrigare una parte di lavori domestici; deve fare la spesa, pulire le scarpe e simili altre cose fastidiose. Quanto le prendono di tempo ogni giorno? ».
«Forse un'ora, però... ».
«Fa altri cinquantacinquemilionicentottantottomi­la secondi, signor Fusi. Sappiamo inoltre che una vol­ta alla settimana lei va al cinema, che, anche una volta alla settimana, lei va a cantare in una società corale, che lei è avventore fisso di un ristorante due volte alla settimana, e che nelle restanti sere s'incontra con gli amici o che legge persino dei libri. Insomma lei am­mazza il tempo in attività improduttive, precisamente per tre ore ogni giorno e questo fa centosessantacin­quemilionicinquecentosessantaquattromila secondi... Non sta bene, signor Fusi?».
«No, mi scusi, la prego... » rispose il signor Fusi.
«Stiamo per finire, ma dobbiamo ancora parlare di un capitolo privato della sua vita. Cioè, lei ha un piccolo segreto, lo sa bene ».
« Anche questo sapete? Credevo che tranne me e la signorina Daria... » mormorò ormai privo di forza.
«Nel nostro mondo moderno non c'è posto per i segretucci» lo interruppe l'agente Nr. XYQ/384/b. «Consideri la cosa con realismo e oggettività, signor Fusi. Risponda a una domanda: vuole sposare la si­gnorina Daria? ».
«No, questo no... » rispose il signor Fusi.
«Precisamente», proseguì il Signore Grigio, «vi­sto che la signorina Daria rimarrà inchiodata alla pol­trona a rotelle per tutta la vita, paralizzata alle gambe com'è. Eppure lei va a trovarla ogni giorno, per mez­z'ora, per portarle un fiore. A che scopo?».
«Le fa sempre tanto piacere», rispose il signor Fusi, vicino alle lacrime.
«Ma considerando la cosa oggettivamente, per lei, signor Fusi, è tempo perduto. Esattamente ventisette­milionicinquecentonovantaquattromila secondi. E se poi aggiungiamo che lei ha l'abitudine di sedersi ogni sera alla finestra — per un quarto d'ora — prima di coricarsi, e di riflettere su parole e fatti della giornata trascorsa, arriviamo a una somma di tredicimilioniset­tecentonovantasettemila, anche da sottrarre. Vedia­mo adesso quanto le rimane, signor Fusi».
Sullo specchio c'era ora il conto seguente:

Sonno 441.504.000 secondi
Lavoro 441.504.000 “
Pasti 110.376.000 “
Madre 55.188.000 “
Pappagalletto 13.797.000 “
Spesa, scarpe ecc. 55.188.000 “
Amici, canto ecc. 165.564.000 “
Segreto 27.594.000 “
Finestra 13.797.000 “

Totale 1.324.512.000 secondi

« Questa somma», disse il Signore Grigio, bussan­do col bastoncino sullo specchio con tal forza che pa­revano colpi di rivoltella, « questa somma, dunque, è il tempo che lei ha già perduto fino a questo momen­to. Che gliene pare, signor Fusi?».
Al signor Fusi non gli pareva proprio niente. Se­dette su una sedia, in un angolo e si deterse la fronte con il fazzoletto poiché, nonostante il freddo gelido, adesso stava sudando.
Il Signore Grigio assentiva, grave.
« Sì, vedo che si sta rendendo conto », disse. «È già più della metà del suo capitale iniziale, signor Fu­si. Vediamo adesso cosa le è rimasto dei suoi quaran­tadue anni. Un anno, come lei sa, sono trentunmilio­nicinquecentotrentaseimila secondi che moltiplicato per quarantadue fa unmiliardotrecentoventiquattro­milionicinquecentododicimila secondi».
Scrisse questa cifra sotto la colonna del tempo perduto:

1.324.512.000 secondi
— 1.324.512.000 “

0.000.000.000 secondi

Ripose il suo bastoncino grigio e fece una lunga pausa affinché la vista di quella serie di zeri produces­se il suo effetto sul signor Fusi. E lo produceva.
« Questo è il bilancio di tutta la mia vita fino a questo momento », pensava il signor Fusi, anni­chilito.
Impressionato com'era dal calcolo che quadrava con tanta precisione, accettò tutto senza opporsi.
E il calcolo in sé era esatto. Era uno dei trucchi con i quali i Signori Grigi truffavano gli uomini in migliaia di circostanze.
«Non trova, signor Fusi», riprese la parola, mellifluo, l'agente Nr. XYQ/384/b, «che lei non può continuare con questi sperperi? Non sarebbe meglio cominciare a risparmiare?».
Il signor Fusi annuì; aveva le labbra violacee per il freddo.
«Se, per farle un esempio », risonò alle orecchie del povero barbiere la voce cenerognola dell'agente, «se lei avesse cominciato a risparmiare, già venti anni fa, anche soltanto un'ora al giorno, lei avrebbe adesso un credito di ventiseimilioniduecentottantamila se­condi.
Con due ore al giorno di risparmio il credito sareb­be, naturalmente, il doppio e cioè cinquantaduemilio­nicinquecentosessantamila. E, dica, la prego signor Fusi, che cosa sono due miserabili orette a confronto di una simile somma? ».
«Niente! Una ridicola inezia! » gridò il signor Fusi.
«Mi compiaccio che lei lo riconosca », proseguì l'agente, incurante. «E se poi calcolassimo quello che potrebbe risparmiare nei prossimi venti anni e nelle medesime condizioni, arriveremmo alla stupenda somma di centocinquemilionicentoventimila secondi. Questo capitale sarebbe a sua completa disposizione al suo sessantaduesimo compleanno».
«Magnifico! » balbettò il signor Fusi, a occhi sbar­rati.
« Aspetti. Viene il meglio. Noi della Cassa di Ri­sparmio del Tempo, non ci limitiamo a custodire il tempo che lei ha risparmiato, ma le paghiamo anche gli interessi. Vale a dire che, in realtà, lei avrebbe molto di più».
« Quanto di più?» domandò il signor Fusi senza fiato.
«Questo dipenderà da lei», tenne a precisare l'a­gente. «Secondo quanto vuole risparmiare e secondo la durata del vincolo dei suoi risparmi presso la nostra cassa».
«Vincolo? Che significa?» s'informò il signor Fusi.
«Molto semplice creda. Se lei non esigerà la resti­tuzione del tempo depositato presso di noi per cinque anni, noi le raddoppieremo la somma. In breve: il suo capitale si raddoppia ogni cinque anni, capisce? Dopo dieci anni sarà quattro volte la somma iniziale, dopo quindici otto volte e così via. Se lei avesse cominciato a risparmiare soltanto due ore ogni giorno, venti anni fa, al suo sessantaduesimo compleanno e cioè dopo complessivi quarant'anni, avrebbe a sua disposizione duecentocinquantasei volte il tempo risparmiato. Sa­rebbero ventiseimiliardinovecentodiecimilionisette­centoventimila secondi».
Estrasse di nuovo il bastoncino grigio e scrisse sul­lo specchio:

26.910.720.000 secondi

«Lo vede da sé, signor Fusi», disse poi e sorrise per la prima volta, avaramente, a labbra stirate, «sa­rebbe più del decuplo della sua vita sino ad oggi. E soltanto col risparmio di due ore al giorno. Pensi un po' se questa non è un'offerta vantaggiosa! ».
«E come no? Certo che sì!» esclamò il signor Fusi, esausto. «Sono proprio un disgraziato a non aver co­minciato da giovane a risparmiare! Adesso me ne ren­do conto e devo confessarlo... sono disperato! ».
«Ma non ce n'è motivo! Non è mai troppo tardi», replicò il Signore Grigio blandamente. «Se lei vuole
può cominciare oggi stesso. Vedrà, ne vale la pena! ». «Eccome se voglio! » esultò il signor Fusi. « Che debbo fare?».
«Ma, carissimo amico, saprà bene come si rispar­mia il tempo!» rispose l'agente inarcando le sopracci­glia. «Lei deve, per esempio, lavorare più in fretta e abbandonare tutte le cose inutili. Al posto di mezz'o­ra, dedichi un quarto d'ora a ogni cliente. Eviti gli svaghi da perditempo. Riduca l'ora che passa con sua madre a mezz'ora. Meglio sarebbe ricoverarla in un buon ospizio per vecchi, poco costoso, dove la assiste­ranno al posto suo e così lei guadagnerà un'intera ora al giorno. Levi di mezzo quell'inutile pappagalletto! Vada a trovare la signorina Daria soltanto una volta ogni quindici giorni, se proprio non può farne a meno. Lasci perdere il suo quarto d'ora di meditazione sero­tina e, soprattutto, non sprechi il suo preziosissimo tempo cantando, leggendo oppure coi suoi cosiddetti amici. Le raccomando — peraltro tra parentesi — di appendere nel suo negozio un orologio grande e pre­ciso per poter controllare meglio il lavoro del suo garzone».
«Va bene, tutto questo posso farlo», disse il si­gnor Fusi, «ma del tempo che in tal modo mi avan­za... che ne farò? Devo depositarlo? E dove? O devo conservarlo? Come funziona la faccenda? ».
« Quanto a questo non si preoccupi», disse il Si­gnore Grigio sorridendo per la seconda volta a labbra serrate. «Lasci che ci pensiamo noi. Lei può star sicu­ro che non andrà perduto nemmeno un briciolo di secondo del tempo da lei risparmiato. Vedrà che non avanzerà niente ».
«Benissimo », convenne il signor Fusi, stordito. «Mi fido di voi».
«Ci conti, caro amico», disse l'agente alzandosi. «E con ciò le do il benvenuto come nuovo socio della grande comunità dei Risparmiatori di Tempo. Adesso anche lei, signor Fusi, è un uomo davvero moderno e progredito. Congratulazioni! ».
E su queste parole prese la bombetta e la cartella.
«Un momento! Ancora un momento!» lo fermò il signor Fusi. «Non dobbiamo stipulare un con­tratto? Non devo mettere firme? Non mi dà un do­cumento?».
Di su la porta della bottega l'agente XYQ/384/b squadrò il signor Fusi con una certa indignazione.
«A che scopo?» domandò. «Il Risparmio di Tem­po non è paragonabile ad alcun'altra forma di rispar­mio. È una questione di assoluta fiducia, da ambo le parti! A noi basta il suo assenso. È irrevocabile. Noi ci occupiamo dei suoi risparmi. Quanto intende ri­sparmiare è affar suo. Noi non le imponiamo alcun obbligo. Si stia bene, signor Fusi».
Quindi l'agente salì sulla sua elegante automobile grigia e partì rombando.
Il signor Fusi lo seguì con lo sguardo e si soffregò la fronte. A poco a poco gli tornava il calore nelle membra, ma si sentiva ammalato e miserevole. Le volute grigiazzurre del piccolo sigaro fluttuarono a lungo nel locale, restie a dissolversi.
Soltanto quando il fumo svanì il signor Fusi si sentì meglio. Ma, a misura che il fumo se n'era andato, erano impallidite anche le cifre sullo specchio. E quando furono cancellate, scomparve dalla memoria del signor Fusi anche il ricordo del visitatore grigio... del visitatore, non quello della decisione! Questa la considerò sua. Il proposito di risparmiare tempo da ora in poi — per poter incominciare un'altra vita, prima o poi nel futuro — era conficcato nella sua anima come un aculeo uncinato.
E poi arrivò il primo cliente della giornata. Il si­gnor Fusi lo servì di malavoglia, tralasciò i convenevo­li superflui, non parlò e, in effetti, invece di mezz'o­ra finì in venti minuti.
Allo stesso modo si comportò da allora in poi con tutti i clienti. Eseguito così, il suo lavoro non gli dava più alcun piacere, ma ormai questo non contava. Ol­tre al garzone apprendista assunse altri due aiutanti e vigilava perché non perdessero nemmeno un solo mo­mento. Ogni gesto era compiuto secondo un program­ma di tempo rigorosamente calcolato. Nella bottega del signor Fusi penzolava ora un cartello che diceva:

TEMPO RISPARMIATO È TEMPO RADDOPPIATO

Alla signorina Daria inviò una breve lettera incolore con la quale le comunicava che, per man­canza di tempo, non poteva più andare a farle visita.
Vendette il pappagalletto ad una uccellerìa. Sistemò la madre in un asilo per vecchi, buono ma a prezzo modico, dove andava a trovarla una volta al mese. E anche per tutto il resto seguì i suggerimenti del Signo­re Grigio, considerandoli decisioni proprie.
Era sempre più nervoso e angustiato perché ac­cadeva una cosa inspiegabile: di tutto il tempo che risparmiava non gliene restava mai un po'. Ecco, spa­riva in modo misterioso e non c'era più. Dapprima appena avvertibile e poi in maniera evidente, le sue giornate divennero sempre più corte. Prima che se ne rendesse conto erano passati una settimana, un mese, un anno e poi un altro e un altro ancora.
Poiché non aveva memoria della visita del Signore Grigio, avrebbe dovuto chiedersi, in coscienza, dove andava a finire tutto il suo tempo. Ma, come per tutti gli altri risparmiatori, era una domanda inesistente. Quella che si era impadronita di lui era un'ossessione cieca. E se qualche volta si accorgeva, con spavento, che i suoi giorni fuggivano veloci, sempre più veloci, risparmiava con maggiore frenesia.
Come al signor Fusi accadeva a molti altri abitanti della grande città. Ogni giorno aumentavano le perso­ne che si dedicavano a una faccenda chiamata «Ri­sparmiare Tempo ». E quanti più erano tanto più ve­nivano imitati perché — anche per chi non voleva saperne — non c'era altra scelta che adeguarsi.
Ogni giorno alla radio, alla televisione, sui quoti­diani si spiegavano e si magnificavano i vantaggi delle nuove tecniche per risparmiare tempo, che — un giorno — avrebbero offerto agli uomini la libertà per una « vera vita ». Sui muri e sugli spazi pubblicitari gli at­tacchini incollavano manifesti raffiguranti ogni possi­bile immagine della felicità; e, sotto, l'ossessione delle scritte a lettere luminose:

I RISPARMIATORI DI TEMPO VIVONO MEGLIO!

oppure:

IL FUTURO APPARTIENE AI RISPARMIATORI DI TEMPO!

oppure:

MIGLIORA LA TUA VITA... RISPARMIA IL TEMPO!

Ma la realtà era molto diversa. Certo, i risparmia­tori di tempo erano vestiti meglio della gente che vive­va nei dintorni dell'anfiteatro; guadagnavano più de­naro e potevano spendere di più. Ma avevano facce afflitte, stanche o amareggiate e occhi duri e freddi. Ignoravano che si potesse «andare da Momo». Non avevano chi sapesse ascoltarli tanto bene da renderli ragionevoli, concilianti e perciò felici. Ma se anche avessero conosciuto l'esistenza di una creatura tanto preziosa, non è sicuro che sarebbero andati a trovarla, a meno che si potesse risolvere la faccenda in cinque minuti; altrimenti lo avrebbero reputato tempo per­duto. Secondo il loro modo di pensare anche il tempo libero doveva essere messo a profitto, e in tutta fretta, per procurarsi divertimenti e distensione nella massi­ma misura possibile.
Così non potevano celebrare feste o commemora­re avvenimenti tristi o lieti; i sogni erano considerati quasi dei crimini. Ma la cosa più difficile da sopporta­re era, per loro, il silenzio. Nel silenzio li assaliva l'angoscia perché nel silenzio intuivano quel che stava capitando alla loro vita. Per questo facevano rumore quando il silenzio li minacciava; però non il baccano giocondo che regna là dove giocano i bambini, ma un rumore rabbioso e sgomento che di giorno in giorno inondava la grande città con irrefrenabile crescendo.
Che a uno piacesse il suo lavoro e lo facesse con amore per l'opera creata, non aveva importanza... anzi dava fastidio. Importante era solo fare il massimo di lavoro in un minimo di tempo.
In tutti i luoghi di lavoro delle grandi fabbriche, in tutti gli uffici, pendevano cartelli con scritte di questo genere:

IL TEMPO È PREZIOSO - NON PERDERLO!

oppure:

IL TEMPO È DENARO - RISPARMIALO!

Cartelli analoghi erano appesi dietro le scrivanie dei capi, dietro le poltrone dei direttori, nei gabinetti medici, nei negozi, nei ristoranti, nei grandi magazzi­ni, nelle scuole e persino negli asili d'infanzia. Dap­pertutto, senza alcuna esclusione.
E infine — giorno dopo giorno — anche la grande città aveva mutato aspetto. Si demolivano i vecchi quartieri e si costruivano case nuove dalle quali era escluso qualsiasi elemento reputato superfluo. Si evi­tava la fatica di costruire abitazioni adatte all'umanità che doveva viverci; assecondare i molteplici gusti degli uomini significava edificare case di stile e tipo diverso. Era più a buon mercato e soprattutto si ri­sparmiava tempo costruendole tutte uguali.
A nord della grande città si estendevano già im­mensi quartieri nuovi. Fabbricavano case d'abitazione a molti piani, casermoni che si assomigliavano come un uovo bianco somiglia a un altro uovo bianco. E siccome tutte le case erano uguali, anche le strade erano identiche. E quelle strade monotone aumenta­vano e aumentavano, rettifili lanciati a perdersi nell'o­rizzonte. Un deserto di ordine. Allo stesso modo scor­reva la vita dell'umanità che le abitava: rettifili fino all'orizzonte. Perché lì tutto era calcolato e pianificato con esattezza, ogni centimetro e ogni istante.
Nessuno si rendeva conto che, risparmiando tem­po, in realtà risparmiava tutt'altro. Nessuno voleva ammettere che la sua vita diventava sempre più pove­ra, sempre più monotona e sempre più fredda.
Se ne rendevano conto i bambini, invece, perché nessuno aveva più tempo per loro.
Ma il tempo è vita. E la vita risiede nel cuore. E quanto più ne risparmiavano, tanto meno ne avevano.

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